Quello che riporto sotto è un passaggio sull’impossibilità di comprendersi.
Come trovo vero questo concetto, è uno dei punti cardine della poetica pirandelliana e uno dei temi che ho sempre condiviso. Però, poi, chissà se ho inteso quello che davvero intendeva dire, oppure ho dato alle sue parole il mio senso…
Ma il guaio è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.
Quanta verità in queste parole. Abbiamo il dono della parola ma, a volte, ci si ritorce contro. Tutto quello che diciamo è soggetto ad interpretazione.
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Purtroppo sì. Ma, forse, paradossalmente, è anche una fortuna, che non ci sia nulla di assoluto.
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Hai ragione. In realtà poi il problema si crea nella misura in cui non vogliamo fare un passo verso l’altro per superare la possibile incomprensione. Il fatto che il linguaggio non sia univoco ma soggetto ad interpretazione ha di per se qualcosa di molto affascinante.
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Sì, l’intenzione la volontà sono fondamentali.
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Vedo che hai dei gatti nell’immagine! Io vivo con due gatti, Milton e Duchessa!
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Uno di essi ha vissuto con me per quasi 18 anni, ma non c’è più da tanto. Quello nero mi pare che sia un incontro casuale. Mi piacciono molto ma adesso non ne ospito. Una carezza da parte mia a Milton e a Duchessa.
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